LA STORIA DI SERENA

LA STORIA DI SERENA

“La mia storia con la malattia renale comincia nei miei bellissimi vent’anni o poco più”.
Inizia così la storia di Serena, una donna giovane, mamma, a cui è stata diagnosticata una glomerulonefriteimmunologica: il suo sistema immunitario non riconosce i reni e prova a rifiutarli.
Oggi, Serena parla della sua malattia ai reni dal blog che ha aperto, per condividere l’esperienza con altri, per scambiare informazioni, suggerimenti, sentimenti.
Perché “insieme è meglio”, dice Serena, e lei, per fortuna, ha avuto la sua famiglia, suo marito, sempre al suo fianco.
Dopo le prime cure a base di cortisone e immunosoppressori, che l’hanno cambiata nel fisico, alla fine Serena ha dovuto ricorrere alla dialisi:
“Lì è iniziato il mio periodo più buio.
Non sapevo cosa aspettarmi e intanto il mio corpo cominciava a spegnersi”.
Tante domande, la paura di morire, di non vedere suo figlio crescere, che la sua vita sarebbe stata un inferno.
Quando è stato il momento di mettere il catetere venoso centrale, ha individuato nella dialisi il suo nemico.
Un nemico che però, ben presto, l’ha riportata alla vita.
“Ho cambiato idea su chi fosse il nemico neanche una settimana dopo.
Fare la dialisi mi ha fatta ritornare in forze, mi ha ridato l’energia, l’appetito, la speranza, è diventata la mia migliore amica, anche se ci litigo parecchio.
Faccio l’emodialisi domiciliare, a casa, 6 giorni su 7, dura 2 ore e 30 e sono aiutata da mio marito (santo uomo già l’ho detto?), che insieme a me ha fatto la formazione in ospedale per imparare ad usare la macchina per la dialisi domiciliare e a gestire il catetere prima di portare tutto a casa”.
I primi giorni da soli sono stati difficili: tanto sforzo anche solo per cambiare una garza di 5 cm.
“Ci pensiamo ancora e ridiamo come matti!
Adesso lui è super esperto e io sono molto più rilassata”.
La gestione del catetere è difficile a causa del rischio infezioni: non deve bagnarsi e la medicazione va cambiata spesso.
Per Serena significava anche non potersi più raggomitolare quando dormiva, avere il voltastomaco tutte le volte che doveva togliersi una maglietta.
Ha tenuto il catetere venoso centrale per 8 mesi, lunghissimi – racconta – “che mi hanno fatto perdere il contatto con il mio corpo e soprattutto l’estate, la salsedine addosso, i giochi nella sabbia con mio figlio, i vestitini a bretella”.
Adesso dializza dalla fistola, utilizzando la tecnica Buttonhole.
“Ho delle vene molto profonde – spiega Serena – difficili da raggiungere anche con gli aghi grandi della dialisi, per questo mi sono dovuta operare due volte.
Per almeno tre mesi siamo andati in ospedale ogni giorno per dializzare dalla fistola.
Inizialmente mi pungeva il dottore (e qui devo aggiungere che io sono stata molto fortunata nel mio percorso, ho sempre incontrato medici e paramedici meravigliosi, disponibili, competenti e appassionati), poi, quando finalmente la situazione si era stabilizzata, Stefano – suo marito – ha cominciato a provare.
Siamo rimasti lì fino a quando non ci siamo sentiti assolutamente in grado di fare tutto da soli e poi via a casa”.
Serena ha fatto più di duecento dialisi ed è prossima ad entrare in lista trapianti per avere un rene nuovo.
“Ho davanti a me, grazie alla dialisi, la mia vita, la mia famiglia, tempo”.

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